Contributo Licenziamento istruzioni operative - Studio Rag. Mauro Lapini Consulente del lavoro

Vai ai contenuti

Contributo Licenziamento istruzioni operative

InformaUtile > Rapporti di lavoro
Contributo licenziamento
L’INPS con circolare 22 marzo 2013 n. 44 ha fornito ulteriori indicazioni in merito ai criteri di determinazione e alle modalità di versamento del contributo aziendale dovuto in tutti i casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato – verificatisi dal 1°gennaio 2013- per le causali che darebbero diritto all’indennità ASPI.
Misura
Il datore di lavoro deve versare una somma pari al 41% del massimale mensile ASPI, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.
Il riferimento al massimale mensile di ASPI va inteso alla somma limite (annualmente rivalutata sulla base della variazione dell'indice ISTAT) che, per l’anno 2013, è stabilita in € 1.180,00.
Pertanto, ad esempio, per l’anno 2013 per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, la contribuzione da versare è pari a € 483,80 (€ 1.180X41%). Se invece l’anzianità aziendale è di 36 mesi, l’importo massimo da versare nel 2013 è € 1.451,00 (€ 483,80 X 3).
1) Il contributo è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time).
2) Nel caso di rapporti di lavoro inferiori ai 12 mesi, il contributo deve essere rideterminato in proporz­ione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro (a tal fine si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario). Ad esempio per un rapporto di 10 mesi, l’importo da versare nel 2013 sarà pari a € 403,16.
3) Nell’anzianità aziendale si devono includere tutti i periodi di lavoro a tempo indeterminato. Quelli a tempo determinato si computano se il rapporto è stato trasformato senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione del contributo dell’1,40%. Nel computo dell’anzianità aziendale non si tiene conto dei periodi di congedo straordinario (art. 42, c. 5 D.Lgs. 151/2001).
Versamento
Il versamento deve essere effettuato in unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica la risoluzione del rapporto di lavoro. Ad esempio, se il licenziamento è avvenuto il 4 maggio 2013, il contributo deve essere pagato entro la denuncia riferita al mese di giugno 2013, i cui termini di versamento e di trasmissione sono fissati, rispettivamente, al 16 e al 31 luglio 2013. In sede di prima applicazione della norma, in relazione alle interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nei periodo di paga da gennaio a marzo 2013, il versamento del contributo può essere effettuato, senza aggravio di oneri accessori, entro il giorno 16 giugno 2013.
Il versamento soggiace all’ordinaria disciplina sanzionatoria prevista in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria a carico del datore di lavoro.
(per aggiornamento importo vedi notizia di gennaio 2014) (per aggiornamento 2015 vedi notizia 4 febbraio 2015)
Il contributo d’ingresso all’ASpI si applica (fonte sito dplmodena):
a) Ai licenziamenti di lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, a prescindere dalla motivazione adottata.
Ciò significa che la disposizione trova applicazione in tutte le ipotesi previste dall’ordinamento (anche per cessazione di attività, al di fuori dei casi che presuppongono l’apertura di una procedura ex lege n. 223/1991 per i quali va versato il contributo di ingresso alla mobilità), ma anche allorquando la responsabilità sia ascrivibile al lavoratore (recesso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo o per motivo disciplinare) ed a prescindere dall’esito dell’eventuale giudizio di merito conseguente all’impugnativa. Da un punto di vista teorico, la disposizione sembra trovare applicazione (ma l’INPS non ne fa cenno) anche alla risoluzione formale di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato (anche se la questione “pratica” può trovare una soluzione diversa senza interrompere il rapporto, non “chiamando” più l’interessato). L’Istituto non ne fa cenno ma ci si chiede se il contributo d’ingresso alla mobilità sia dovuto dal datore di lavoro in caso di trasferimento d’azienda (o ramo di essa), disciplinato dall’art. 2112 c.c. . Quest’ultimo afferma (comma 1) che il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Da ciò si deduce che se tutti i dipendenti sono passati alle dipendenze del nuovo datore, proprio perché i rapporti continuano con la conservazione di tutti i diritti afferenti maturati, si ritiene che non debba essere pagato il contributo: ovviamente, se una parte di essi non è transitata (fermo restando il diritto di precedenza riconosciuto per dodici mesi, ad esempio, dall’art. 47 della legge n. 428/1990) il datore di lavoro “cedente” che, di conseguenza, ha intimato i licenziamenti, è tenuto al pagamento del contributo. Un discorso analogo potrebbe essere effettuato nell’ipotesi di “scorporo societario” ma anche in caso di trasformazione di una società da un tipo ad un altro ove, pur essendo al di fuori della sfera di applicazione dell’art. 2112 c.c. (Cass., 16 aprile 1986, n. 2697; Cass., 28 luglio 1986, n. 4812), si può parlare di “assoluta continuità di tutti i rapporti di lavoro instaurati nel corso della complessa vita dell’impresa”. C’è, poi, il problema dei licenziamenti effettuati dai responsabili della procedura concorsuale (curatore, liquidatore, ecc.): il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 223/1991, parlando della mobilità dopo il trattamento di CIGS, afferma che il contributo a carico dell’impresa ex art. 5, comma 4, non è dovuto. Ora, si tratta di vedere (forse sarebbe auspicabile un ulteriore chiarimento) se per le imprese soggette a procedura concorsuale che non hanno fatto ricorso alla CIGS (perché, ad esempio, sotto dimensionate alle quindici unità o di settore non coperto dal trattamento integrativo), il versamento sia, effettivamente, dovuto (ma il dettato del nuovo comma 31 non sembra lasciare dubbi);
b)
Ciò significa che la disposizione trova applicazione in tutte le ipotesi previste dall’ordinamento (anche per cessazione di attività, al di fuori dei casi che presuppongono l’apertura di una procedura ex lege n. 223/1991 per i quali va versato il contributo di ingresso alla mobilità), ma anche allorquando la responsabilità sia ascrivibile al lavoratore (recesso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo o per motivo disciplinare) ed a prescindere dall’esito dell’eventuale giudizio di merito conseguente all’impugnativa. Da un punto di vista teorico, la disposizione sembra trovare applicazione (ma l’INPS non ne fa cenno) anche alla risoluzione formale di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato (anche se la questione “pratica” può trovare una soluzione diversa senza interrompere il rapporto, non “chiamando” più l’interessato). L’Istituto non ne fa cenno ma ci si chiede se il contributo d’ingresso alla mobilità sia dovuto dal datore di lavoro in caso di trasferimento d’azienda (o ramo di essa), disciplinato dall’art. 2112 c.c. . Quest’ultimo afferma (comma 1) che il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Da ciò si deduce che se tutti i dipendenti sono passati alle dipendenze del nuovo datore, proprio perché i rapporti continuano con la conservazione di tutti i diritti afferenti maturati, si ritiene che non debba essere pagato il contributo: ovviamente, se una parte di essi non è transitata (fermo restando il diritto di precedenza riconosciuto per dodici mesi, ad esempio, dall’art. 47 della legge n. 428/1990) il datore di lavoro “cedente” che, di conseguenza, ha intimato i licenziamenti, è tenuto al pagamento del contributo. Un discorso analogo potrebbe essere effettuato nell’ipotesi di “scorporo societario” ma anche in caso di trasformazione di una società da un tipo ad un altro ove, pur essendo al di fuori della sfera di applicazione dell’art. 2112 c.c. (Cass., 16 aprile 1986, n. 2697; Cass., 28 luglio 1986, n. 4812), si può parlare di “assoluta continuità di tutti i rapporti di lavoro instaurati nel corso della complessa vita dell’impresa”. C’è, poi, il problema dei licenziamenti effettuati dai responsabili della procedura concorsuale (curatore, liquidatore, ecc.): il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 223/1991, parlando della mobilità dopo il trattamento di CIGS, afferma che il contributo a carico dell’impresa ex art. 5, comma 4, non è dovuto. Ora, si tratta di vedere (forse sarebbe auspicabile un ulteriore chiarimento) se per le imprese soggette a procedura concorsuale che non hanno fatto ricorso alla CIGS (perché, ad esempio, sotto dimensionate alle quindici unità o di settore non coperto dal trattamento integrativo), il versamento sia, effettivamente, dovuto (ma il dettato del nuovo comma 31 non sembra lasciare dubbi);
b) Ai licenziamenti intervenuti nel rapporto di apprendistato che è un contratto a tempo indeterminato (art. 1, comma 1, del D.L.vo n. 167/2011) al termine del periodo formativo (art. 2, comma 32, della legge n. 92/2012), ma anche al rapporto risoltosi “ante tempus” durante la fase formativa per volontà del datore di lavoro, quandanche riferibile a giusta causa o giustificato motivo (art. 2, lettera l, del D.L.vo n. 167/2011).
c)
c) Alle dimissioni del lavoratore intervenute “per giusta causa”: si tratta di ipotesi di recesso addebitabili al comportamento datoriale, come in caso di mobbing, di mancata retribuzione, di significative modificazioni peggiorative delle mansioni, di notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda ad altre persone (fisiche o giuridiche), di molestie sessuali, di spostamento del lavoratore da una sede all’altra, senza che “sussistano le comprovare ragioni tecniche, produttive ed organizzative” (Cass., n. 1074/1999) e di comportamento particolarmente ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Cass., n. 5977/1985). Tali ultimi casi individuati dalla Giurisprudenza traggono origine dall’art. 2119 c.c. atteso che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto” e trovano uno specifico conforto nelle motivazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 269 del 24 giugno 2002 e nella successiva circolare INPS n. 97 del 4 giugno 2003;
d)
d) Alle dimissioni presentate dalla lavoratrice durante la gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore (che abbia usufruito del congedo di paternità) durante il primo anno di vita del bambino (il periodo considerato va da 300 giorni prima della data presunta del parto fino al compimento del primo anno di vita del figlio). A tali ipotesi sono, ovviamente, assimilati gli affidi e le adozioni fino ad un anno dall’ingresso del bambino nella famiglia.
e)
e) Alle risoluzioni consensuali del rapporto avvenute con conciliazione della controversia relativa alla richiesta di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle imprese con i limiti dimensionali previsti dal nuovo art. 18 della legge n. 300/1970, sottoscritta avanti alla commissione istituita ex art. 410 cpc presso la Direzione territoriale del Lavoro o alla risoluzione consensuale di un rapporto lavoro per trasferimento ad altra sede aziendale distante più di 50 chilometri dalla residenza del prestatore o raggiungibile in più di 80 minuti con i mezzi pubblici (circ. INPS n. 108 del 10 ottobre 2006). Sono casistiche che danno luogo al riconoscimento in favore del lavoratore della indennità di ASpI.
Restano, quindi escluse, dall’obbligo contributivo le cessazioni derivanti da:
a)
Restano, quindi escluse, dall’obbligo contributivo le cessazioni derivanti da:
a) Dimissioni o risoluzioni consensuali che, fatte salve le eccezioni sopra considerate, sono un atto spontaneo e volontario e che, da un punto di vista della loro validità, sono assoggettate alle procedure di convalida previste dall’art. 4, commi 17 e seguenti della legge n. 92/2012: senza entrare nel merito, si ricorda come un iter particolare sia stato ipotizzato per le mamme ed i papà con bimbo di età fino a tre anni (discorso analogo per gli affidati e gli adottati per i quali i tre anni valgono dal momento in cui iniziano le adozioni e gli affidi) ed un altro per la generalità dei casi con conferma della propria volontà avanti alla Direzione territoriale del Lavoro, o al centro per l’impiego, o alla sede individuata dalla contrattazione collettiva (ad esempio, ex art. 411 cpc come 4 previsto dall’accordo interconfederale dell’industria del 3 agosto 2012), o con l’apposizione della propria sottoscrizione volontaria in calce alla ricevuta di comunicazione di cessazione del rapporto inviata on line al centro per l’impiego;
b)
b) Nelle risoluzioni consensuali del rapporto formalizzate, in via generale, in sede aziendale, sindacale (art. 411 cpc), ma anche in sede amministrativa (commissione provinciale di conciliazione) allorquando le stesse riguardino un lavoratore ed un piccolo datore di lavoro rientrante nel campo di applicazione della legge n. 108/1990: qui non vi è alcun riconoscimento dell’indennità di ASpI, atteso che non si è in presenza di uno stato di disoccupazione involontario;
c)
c) Morte del lavoratore.
d) i datori di lavoro domestici, per la particolare peculiarità del rapporto, come ben evidenziato nella circolare INPS n. 25 dell’8 febbraio 2013;
e)
e) i datori di lavoro che procedono al recesso dei lavoratori dichiarati in esubero, al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale ex lege n. 223/1991, secondo i criteri fissati nell’accordo sindacale o desunti, in mancanza dello stesso, dalla disposizione contenuta nell’art. 5, comma 1 (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative, i concorso tra loro).
f) i datori di lavoro che, fino al 31 dicembre 2015, effettuano licenziamenti in conseguenza di cambi di appalto, ai quali, in stretto rapporto temporale, seguano assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole contrattuali che garantiscano continuità occupazionale  come è il caso del CCNL pulizia – multi servizi.
g)
g) i datori di lavoro del settore delle costruzioni edili che, fino al 31 dicembre 2015, interrompano rapporti a tempo indeterminato con propri dipendenti, motivati da completamento delle attività o da chiusura di cantiere;
h) i datori di lavoro che, nell’ambito della procedura ipotizzata dall’art. 4, commi da 1 a 7 – ter, della legge n. 92/2012, provvedano a risolvere i rapporti di lavoro con propri dipendenti anziani o raggiungano accordi con l’associazione sindacale stipulante il contratto di categoria, finalizzato a risolvere il rapporto con personale avente qualifica dirigenziale (art. 34, comma 54, lettera b, della legge n. 221/2012).
i) i datori di lavoro che procedono alla risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lavoratori che vanno in pensione di vecchiaia o anticipata: l’esclusione è determinata dal fatto che “le cessazioni, indipendentemente dal requisito contributivo, non danno diritto all’ASpI” (art. 1,comma 250, della legge n. 228/2012), in quanto gli interessati andranno a percepire il trattamento pensionistico.
via IV Novembre, 23
Barberino Tavarnelle (Fi)
telefono 055-8077045
fax 055-8050756
mobile 335-6436308

info@studiolapini.it
Privacy Policy
Torna ai contenuti